Appello

NO al bolo-chip di identificazione per gli ovicaprini

Il regolamento comunitario 1560/2007 prevede che tutto il patrimonio ovicaprino della UE sia identificato tramite un chip RFID in bolo (come quelli che si impiantano sui cani, ma inglobato in un ‘bolo’ di ceramica o plastica da far ingerire all’animale) o inserito nell’orecchino.
Con l’inizio dell’anno 2010 anche in Italia le organizzazioni agricole iniziano a fare pressione per l’applicazione del suddetto regolamento, che sarà effettivo dalla prossima consegna di identificativi.

Ad oggi, tutti i capi ovini e caprini sono già identificati tramite due orecchini con codice (fino a pochi anni fa uno solo, prima ancora con tatuaggi nell’orecchio, prima ancora con nulla).
Fino all’anno scorso, la legislazione sanitaria italiana (che comunque doveva adeguarsi al regolamento europeo) prevedeva la possibilità di scelta tra il chip (auricolare, intestinale o sottocutaneo), gli orecchini ed i tatuaggi auricolari.
L’identificazione dei capi è stata appoggiata dalle grandi organizzazioni di allevatori, per il gran guadagno dei produttori dei dispositivi, sull’onda delle preoccupazioni generate nell’opinione pubblica dalle recenti crisi sanitarie.
Praticamente la codificazione ha una qualche utilità nei grossi allevamenti, ma nell’insieme genera soprattutto business burocratico (gestione delle anagrafiche, vendita orecchini e chip, ecc..), costi e problemi di gestione ai contadini e stress agli animali.

Perché rifiutiamo il chip di identificazione per i nostri animali?
I motivi sono sostanzialmente due, uno di natura agricola e l’altro, più grave, di natura etica e sociale.

1) Lasciateci vivere!

Innanzitutto, come contadini e allevatori di piccola e media taglia, siamo già oberati di burocrazie di ogni sorta, amministrative, fiscali e sanitarie.
Queste ultime in particolare, tramite il miraggio-diktat della tracciabilità, diventano particolarmente pesanti, soprattutto quando si pensa che sono finte risposte alle sempre più comuni crisi sanitarie (mucca pazza, influenza aviaria, ecc..) generatesi solo nel campo degli allevamenti industriali, fuori terra e a batteria.
Da anni assistiamo ad una continua campagna mediatica che punta ad identificarci come problema sanitario, come morbo o condizione potenzialmente infetta, al contrario della igienizzata e funzionale industria.
Va da sé che questa disinformazione e l’eccesso di burocrazia da essa derivata, insieme alla costante diminuzione dei prezzi al produttore, agli atteggiamenti finanziari di enti e banche, all’apertura dei mercati alimentari globali porta ed ha portato al paradosso dell’aumento dei capi allevati con una diminuzione dei contadini, alla meccanizzazione sempre più spinta, all’uso sempre più massiccio della chimica mangimistica e veterinaria. In sintesi, all’allevamento industriale.

E dall’allevamento industriale, intrinsecamente portato al malessere dell’animale (diminuzione o razionalizzazione degli spazi vitali, standardizzazione del nutrimento, spinta eccessiva alla produzione) nascono le grandi infezioni che tanto preoccupano il consumatore medio, e che poi ci ricadono sulla testa sotto forma di norme ridicole ed inapplicabili, costose e per nulla utili al funzionamento dei nostri allevamenti né tantomeno alla tutela sanitaria dei nostri clienti-consumatori.
Il chip è l’ennesima goccia che dovrebbe far traboccare il vaso della pazienza dei pochi contadini allevatori rimasti e di coloro che ancora pensano che l’agricoltura non sia fatta di macchine e di cemento, ma di esseri viventi e di terra.

2) Oggi le pecore, domani i bambini

Inquietanti e probabili scenari si dipingono su un’orizzonte non troppo lontano. Il costante ‘progresso’ delle tecnologie del controllo sociale è sospinto e favorito da un terrorismo di stato mediatico e non che spinge ad un sempre maggiore sensazione di insicurezza, alla paura dell’altro, ad una sempre maggiore diffidenza tra umani e verso il vivente.
I risultati dell’indotto bisogno di sicurezza sono sotto gli occhi di tutti: militari per le strade, telecamere ad ogni angolo, schedatura forzata per i migranti, creazione sempre più massiccia ed informatizzata di repertori del dna delle persone, fino ad arrivare alla ridicola ed abnorme diffusione dei sistemi di sicurezza privata di ogni sorta.
In questa società psicologicamente pronta ad accogliere come soluzione securizzante ogni stupidaggine prodotta dalla tecnoscienza, soprattutto nel campo del controllo e della repressione, il tornante della de-umanizzazione e della macchinificazione dell’essere umano non è così lontano.

Le inutili ricerche biochimiche, genetiche e nano-tecnologiche offrono al mercato del controllo sociale gadgets sempre più aberranti: si va dai cinturini elettronici applicati ai carcerati per controllare il loro spostamento, ai chip – carte di credito inseribili sottopelle per pagare le consumazioni nei locali alla moda, dalle stimolazioni micro elettriche (cioè dei mini-elettroshock) applicate nella presunta cura di più di una malattia, ai sistemi GPRS di rintracciamento delle automobili rubate o dei soldati caduti in campo di battaglia.

Per finire, o meglio per iniziare, ai chip di identificazione degli animali domestici e da allevamento.
La massiva sperimentazione sul campo di questo tipo di apparecchi altro non è che il cavallo di troia per testare su larga scala e far accettare eticamente i chip RFID, nell’ottica realistica di utilizzarli un domani sugli esseri umani.

Già proposte simili sono allo studio ad esempio, per ‘marchiare’ o per ‘controllare’ gli spostamenti di individui ritenuti socialmente pericolosi (come i condannati per pedofilia), e fioriscono numerose le applicazioni ‘volontarie’ sull’uomo, come in campo militare (i chip hanno sostituito praticamente le vecchie ‘piastrine’) o in campo di sicurezza privata (persone che credono di rischiare rapimenti si fanno ‘chippare’ per essere sempre rintracciabili).
A questo punto, non è utile perdersi nelle differenze tecnologiche tra i chip passivi (tipo RFID, quelli previsti per gli animali) che devono essere avvicinati ad un lettore per comunicare, e quelli attivi (tipo GPRS) che comunicano autonomamente grazie a fonti di energia proprie (invitiamo comunque ad approfondire l’argomento, viste le aberranti prospettive che si configurano).

Ciò che è importante è che stia ‘passando’ una logica inquietante: l’uomo (e l’animale) può essere ‘integrato’ da elementi elettro-meccanici, oggi per il suo controllo domani, chissà, per il suo miglioramento. E’ l’era dei cyborg che ci sembrava tanto lontana sui libri di fantascienza. E’ l’incubo eugenetico nazista che si ripropone mascherato di funzionalità e di sicurezza.

Conclusione: noi siamo pastori, contadini, allevatori per scelta, per amore della vita e dell’autonomia, e continuiamo a batterci a tutti i livelli per conservare stili di vita e di economia compatibili con la natura, in contrasto con una società che sempre più vorrebbe codificare, controllare, eliminare noi ed i nostri animali.
Noi riconosciamo nei chip un gravissimo attacco alla vita ed alla natura, alla nostra indipendenza ed alla nostra libertà, e per questo li rifiutiamo.
La misura è colma: non impianteremo nessuna porcata microelettronica sulle nostre bestie: i nostri animali non sono macchine, ma esseri viventi!

Pastori contro la codificazione della vita